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La vera diseguaglianza è intergenerazionale. E Boeri è l'unico che ne parla

L'unico a portare in agenda le diseguaglianze intergenerazionali. L'unico a innervare le politiche economiche del governo con proposte volte a bilanciare un sistema previdenziale che penalizza gli under 40. L'unico in grado di tratteggiare un percorso di welfare moderno e sostenibile. Tito Boeri, il 57enne economista bocconiano che Renzi ha posto al vertice dell'INPS, sta apprezzabilmente interpretando il suo ruolo molto oltre i binari consueti. 


Il Boeri pensiero era noto del resto ben prima dell'incarico: dagli studi esposti nel suo libro "Uno Stato asociale. Perché è fallito il welfare in Italia", al dibattito animato sul blog LaVoce, fino alle ospitate televisive non frequenti ma sempre incisive. Che non si sarebbe trasformato nel grigio dirigente pubblico di un carrozzone disastrato era ipotizzabile, ma l'intrusione costruttiva nell'agenda di governo e il pressing costante sui temi previdenziali con cui sta caratterizzando la sua azione costituiscono gli unici elementi dialettici fuori dal perimetro dell'esecutivo, vista l'ormai endemica assenza di voci credibili nelle opposizioni. 



In questi mesi Boeri è intervenuto per aggredire - molto più di quanto non abbia fatto l'azione del governo - i privilegi previdenziali di cui godono politici e dirigenti sindacali, ha denunciato le storture di pensioni calcolate attraverso il sistema retributivo, ha proposto un ricalcolo dei vitalizi e una rimodulazione degli assegni che meglio garantisca le generazioni più giovani. Insomma, lo zelo di un vero e proprio ministro ombra in grado di imbarazzare il governo, di incalzare il premier e di duellare col ministro del lavoro Poletti.


Non fanno eccezione le recenti proiezioni con cui il presidente dell'INPS ha tratteggiato il drammatico futuro pensionistico dei nati negli anni '80, che hanno visto l'immediata reazione del ministro volta a raffreddare qualsiasi dibattito: non ci sono vie d'uscita per Poletti, i giovani devono pagare.

Ovviamente l'intervento di Boeri guardava con maggiore complessità alla situazione italiana rispetto allo smarrimento del ministro del lavoro: servono crescita economica (l'unico modo per garantire l'attuale sistema a ripartizione, cioè pensioni pagate attraverso i contributi versati da chi è oggi attivo), una revisione complessiva di formazione e welfare (per entrare meglio e prima nel mercato del lavoro e adottare programmi di riqualificazione e ricollocamento), un intervento radicale contro privilegi consolidati (le cosiddette "pensioni d'oro") che non stritolino i più giovani e garantiscano una sostenibilità complessiva del sistema pensionistico, magari anche attraverso una vera liberalizzazione del sistema previdenziale (non soltanto di quello complementare).


Inoltre, l'indagine di Bankitalia pubblicata lo scorso 3 dicembre riporta come negli ultimi vent'anni la ricchezza media di famiglie guidate da un under 34 è crollata di oltre la metà, quella dei nuclei con "capofamiglia" 35-44enne è scesa di un quarto, mentre le famiglie di over 65 hanno visto aumentare la loro ricchezza del 60% ed è oggi tre volte quella delle famiglie più giovani. Tutto ciò chiarisce come la grande diseguaglianza dell'Italia di oggi sia quella tra i più giovani e i più anziani, taciuta dai politici per motivi elettorali (o per incapacità di leggere report e grafici?) e socialmente riequilibrata da una sorta di welfare domestico, per nulla universale, né democratico.

Che l'azione di pubblica denuncia della principale ingiustizia sociale dei nostri giorni e il tentativo di correzione giungano dalla voce di un professore universitario prestato alla presidenza dell'INPS, anziché da leader politici, fa certo riflettere. Ma ad oggi nessuno schieramento pare in grado di scolpire classi dirigenti che da Tito Boeri dovrebbero mutuare capacità di analisi della complessità, competenza e lungimiranza.



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